NYT, non è tutto oro quello che luccica. Storie di nani e giganti.

In questi giorni si sono letti diversi articoli trionfalistici che annunciano il successo del New York Times sul fronte del digitale: “internet ha travolto la carta stampata e il giornalismo tradizionale”, dice ilsole24ore, 120 nuovi assunti, 709 milioni di ricavi pubblicitari, crescita del 27% degli abbonati rispetto al precedente anno, dividendi per 33 milioni …

La ricetta di questo successo è stata quella di puntare sul giornalismo di qualità e adottare l’approccio del “digital first”, gli articoli sono scritti prima per il digitale e poi vengono raccolti i migliori, il giorno dopo, sull’edizione cartacea.

L’articolo del Sole si conclude con un bel “la qualità paga”. Indubbiamente il NYT ha fatto bingo, complimenti.

Ma questo eccessivo entusiasmo mi preoccupa perché rischia di mettere in secondo piano le dovute contromisure che sia in Europa e sia negli USA si vogliono adottare nei confronti dell’oligarchia (GAFAM) imperante nel business della notizia e dell’informazione.

Qualcuno come ad esempio Jeff Israely, nel suo recente articolo su Niemanlab, sostiene che è inutile dare la colpa della crisi dei giornali al duopolio Google Facebook, e chiede a investitori, editori e lettori “una pista più lunga per poter decollare”. In sintesi e in sostanza molti responsabili e manager dell’editoria dei giornali come lui, potrebbero dire: abbiate un po’ di pazienza, avete visto che il New York Times ce la sta facendo, continuiamo a provarci.

Sicuramente non possiamo chiudere baracca e burattini solo per il fatto che esista una crisi, ma sarebbe opportuno evitare di avere grandi speranze e concentrarsi su altri fronti per elaborare nuove regole di un gioco che non è più quello a cui eravamo abituati.

Nel caso del NYT, in realtà, le cose andrebbero viste comparando alcuni parametri fondamentali come fa oggi Frederic Filloux, nel suo Monday Note, con un articolo che mette in luce come sono i soliti giganti a tenere il banco, gli altri sono solo dei nani.

Frederic mette a confronto la crescita della pubblicità dal 2011 al 2018 negli USA, dove si evince che “per ogni dollaro di crescita degli annunci digitali, Google ha preso $ 1,00, Facebook $ 3,70, mentre il NYT ha preso solo 32 centesimi.”

E va bene, non è di questo che vogliamo parlare visto che ormai la gran parte degli editori come il NYT ha capito che il modello sostenuto dalla pubblicità è al capolinea e che bisogna puntare invece sul giornalismo di qualità per creare una base di “clienti” fedeli pronti a sostenere il giornale con i costi degli abbonamenti, con le membership e con i paywall.

Purtroppo anche su questo fronte i risultati non sono eclatanti e Frederic Filloux, fa notare che se si considera un parametro fondamentale, il reddito medio per utente, meglio noto con la sigla ARPU, i giganti riescono ad avere una crescita a due cifre, mentre le entrate di NYT per utente sono diminuite del 4% rispetto all’anno precedente.

I grafici pubblicati da Frederic esprimono ancora meglio il confronto tra i giganti e il nano.

Se considerate poi che NYT gioca su di un campo limitato al pubblico anglofono mentre gli altri due giganti giocano nel ruolo di giocatori e arbitri, sul campo che ha come pubblico il mondo intero, potete facilmente trarre le vostre conclusioni.


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