Sempre sulla crisi e sulle sue cause.

Dopo i negazionisti della crisi dei #giornali e del #giornalismo è ora il turno dei #giornalisti animati da un unico sentimento: il rancore, che annebbia loro la vista e li porta a elaborare pensieri deliranti.

La crisi dei giornali italiani, secondo costoro è dovuta al fatto che gli editori si siano schierati politicamente dalla parte sbagliata.

Costoro continuano a dimenticare che nel resto del mondo occidentale, negli ultimi dieci anni la crisi dei giornali ha colpito indistintamente tutti gli editori sia tradizionali e sia “digitali puri”.

Basti leggere i dati sul numero dei giornalisti licenziati, prepensionati o indotti alle dimissioni negli Stati Uniti.

La crisi è globale e non limitatamente italiana e non ha nulla a che vedere con la mancata interpretazione dei desideri dei cittadini che, a quanto mi risulta, preferiscono le schifezze e le fake news (gli studi a tal proposito non si contano con le dita delle mani). Desiderio questo che ha permesso a Google e Facebook di macinare utili (dico “utili” evitando la parola “ricavi”) alla velocità della luce grazie al mercato perverso delle aste pubblicitarie che premiano le visualizzazioni, qualunque sia il contenuto, alla faccia di quelli che hanno sempre creduto che la qualità pagasse.

Ricordatevi inoltre che i ricavi dei giornali sono sempre arrivati in gran parte da una sola parte: dalla pubblicità e solo in modo risibile dalle tasche dei lettori.

Di seguito, tre articoli che hanno ispirato le mie considerazioni:

Il primo, di Riccardo Ruggeri, Editori e giornalisti dopo la stangata alle elezioni reagite o dovrete rassegnarvi per sempre è quello che più indispettisce poiché analizza la crisi del pollaio nostrano senza nulla dire della aviaria che sta decimando il pianeta.

Il secondo, di Alessandro Calvi, Nel «tu» a Zingaretti su “Repubblica” c’è la storia della crisi dei giornali, se vogliamo più elitario e raffinato , ma, come sopra, ha la pecca di non sapere guardare oltre ai confini nazionali e il torto di concludere con un “E, insomma, forse la colpa della crisi non è tutta di internet.”

L’ultimo, di Luca Sofri, A cosa servi , a compensazione dei precedenti e a dimostrazione che esistono ancora barlumi di lucidità.


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