Paywall? No! Noi lo chiamiamo membership.

The Guardian prevede che un terzo delle sue entrate nei prossimi tre anni arriveranno dalla “membership”. Ossia, detto in parole povere, dal far pagare i contenuti. Oppure, vogliamo usare qualche altro eufemismo?

Anche la parola “paywall” non va bene all’amministratore delegato del gruppo editoriale che governa il famoso quotidiano inglese.

Non capisco perché si debbano usare tanti giri di parole. Anch’io ho sempre sostenuto fino ad una anno fa che far pagare i contenuti non avrebbero funzionato. Non l’ho mai creduto per la carta, figuriamoci per il digitale. Ma le cose sono cambiate. Gli ad-block e l’indiscusso dominio di Facebook e Google sul business della notizia e la loro nuova consapevolezza sul valore qualitativo del giornalismo hanno cambiato le prospettive.

Teniamone conto.

 

“These are all the bets that people need to play over time in order to get to grips with the complexities of this market.”

Sorgente: GMG’s David Pemsel: Membership will make up a third of the Guardian’s revenue within three years

Sempre al proposito, ma pubblicato un mese fa circa su Fortune: The Guardian, Il Paywall e la fine dei quotidiani di carta.

Sorgente: The Guardian, Paywalls, and the Death of Print Newspapers – Fortune

L’amministratore delegato David Pemsel dice che il suo impegno a non adottare il paywall non è crollato.

“Ciò che The Guardian ha in mente di fare, afferma, è di ampliare il suo programma di membership già esistente, e, potenzialmente, di offrire ai membri sottoscrittori dei contenuti che non sono disponibile per i lettori non paganti.”

Ditemi voi se questa non è lana caprina.


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